Sergio Marchionne ha dichiarato che l’Alfa Romeo potrebbe diventare l’avversario della Ferrari nel Mondiale di Formula 1. Verità o scossone contro il pauroso calo di consensi del Circus a favore della categoria Prototipi? Mentre lo scenario aspetta ancora di definirsi con precisione, ecco le vicende della (ormai ex) Casa del Portello nella massima formula. Correva l’anno 1950…
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… E dalla Formula A, regolamento nato nel 1946 sulla scia della Formula Grand Prix dei primi Anni 20, fu ufficialmente inaugurata la prima stagione del Campionato Mondiale di Formula 1, partito il 13 maggio con il Gran Premio di Silverstone, per l’assegnazione del titolo piloti.
L’Alfa Romeo 158 La più longeva monoposto della storia dei gran premi – la 158 “Alfetta” – aveva debuttato ufficialmente il 7 agosto 1938 alla Coppa Ciano a Livorno (primo posto con Emilio Villoresi e secondo posto con Clemente Biondetti). Il progetto era iniziato l’anno precedente:Gioacchino Colombo e Alberto Massimino, valenti progettisti della Scuderia Ferrari, avevano iniziato lo sviluppo di una nuova monoposto erede della Tipo C con motori 8 e 12 cilindri. La vettura, motorizzata con un 8 in linea di 1,5 litri sovralimentato con compressore, da cui la denominazione “158”, si dimostrò immediatamente molto competitiva grazie alla felice combinazione di potenza elevata e peso molto contenuto. Ma lo scoppio della seconda Guerra Mondiale mise freno a qualsiasi desiderio di vittoria. Le 158 furono smontate e nascoste nel milanese per salvarle dallo sciacallaggio.
Dopo il disastro bellico, la Formula Grand Prix aveva ricominciato la sua attività nel ’46, con l’Alfa subito pronta a schierare la 158, nel frattempo
evoluta e migliorata.
L’annata ’49 era stata tragica per l’Alfa a causa della scomparsa dell’ottimo pilota Jean Pierre Wimille e del Conte Felice Trossi (uno degli uomini chiave degli inizi della Scuderia Ferrari e talentuoso pilota gentleman), due perdite talmente importanti da imporre la decisione di non partecipare alle corse in quell’anno.
Campionato Mondiale di F1 1950: la 158 domina, arriva la nuova 159
Il 1950 fu l’anno del riscatto. L’Alfa Romeo schierò l’ultima evoluzione della 158, cresciuta e maturata fino a esprimere 350 Cv su una massa di appena 700 chili. Alla gara di Silverstone del 13 maggio , prima prova valida per il Mondiale, fu un trionfo con tre Alfa Romeo 158 ai primi tre posti: vinse Nino Farina di fronte all’attempato Luigi Fagioli (52 anni!) e a Reg Parnell. Il quarto pilota, il 39enne Juan Manuel Fangio, fu costretto al ritiro per noie al motore.
L’asso argentino si rifece al successivo GP di Monaco, gara di debutto in Formula 1 della Scuderia Ferrari con le 125 F1. Fangio, partito dalla poleposition, rimase in testa fino alla fine rivalendosi sui ritirati Farina e Fagioli. Esclusa la 500 Miglia di Indianapolis, alla quale non partecipò alcun marchio costruttore europeo, il dominio Alfa continuò al successivo GP di Svizzera (1° posto di Farina, 2° posto di Fagioli), GP del Belgio (vittoria di Fangio, 2° Fagioli), GP di Francia (ancora Fangio, Fagioli secondo). Alla gara finale di Monza, tutti e tre i piloti si trovarono in lotta per il titolo. Vinse Farina (l’Alfa dominò l’intera stagione con sei vittorie su sette gare), superando di 3 punti Fangio. Il pilota italiano, peraltro, colse la vittoria portando al debutto la nuova Alfa Romeo 159 con carrozzeria realizzata da Zagato e motore ulteriormente potenziato a 420 cavalli.
1951: La 159 vince ma la Ferrari inizia a dilagare Al campionato del 1951 l’Alfa Romeo fu ancora la vettura da battere ma un nuovo forte avversario appariva all’orizzonte. La Ferrari, che l’anno precedente aveva corso in sordina con le 125 12 cilindri sovralimentate, aveva schierato le nuovissime 375 F1 con motore 4,5 litri aspirato. Enzo Ferrari, infatti, aveva intuito il limite tecnico del motore sovralimentato (potenziato, in fin dei conti, con l’aumento dimensionale del compressore). Il biscione, infatti, continuava con l’8 cilindri più compressore Roots e con questa scelta si garantiva prestazioni certamente inarrivabili ma pagava un prezzo enorme. Le Alfa infatti, registravano consumi sbalorditivi, che costringevano a continue soste ai box, fonte di pericolosi ritardi.
L’Alfa Romeo si aggiudicò le prime tre gare (Fangio al GP di Svizzera, Farina al GP del Belgio e nuovamente Fangio ai GP di Francia e Spagna) ma le tre vittorie della Ferrari nei successivi tre appuntamenti (Silverstone – prima vittoria in F1 della Casa di Maranello, Nurburgring e Monza), lasciarono aperti i giochi fino all’ultima corsa in Spagna. Sul circuito cittadino di Pedralbes, l’Alfa 159 dell’argentino dominò contro le Ferrari – merito soprattutto della indovinata scelta delle gomme – e gli permise la conquista del primo dei suoi cinque titoli piloti.
L’Alfa Romeo aveva battuto tutti per la seconda volta consecutiva. Ciononostante, a causa dei costi sempre più crescenti che l’IRI – proprietario dell’azienda – decise di non continuare a sostenere, il Portello annunciò che non avrebbe partecipato al campionato del ’52 nonostante fosse già stato avviato il progetto della nuova Alfa Romeo 160 con motore centrale-posteriore da 2,5 litri.
Sono due sostanzialmente i motivi per cui l’Alfa Romeo si ritira dalle competizioni al termine della stagione 1951: il primo perché lo sviluppo della 159 era arrivato al capolinea (l’origine è del 1938!); il secondo perchél’azienda ha l’obiettivo di concentrarsi sulla realizzazione e sulla produzione della “Giulietta”. Gli uomini che si dedicavano alla progettazione delle auto da corsa erano infatti gli stessi che si dedicavano alla produzione di serie.
Anni 60: il Biscione ci riprova (come fornitore di motori)All’inizio degli Anni 60, grazie all’impegno di alcuni “spiriti illuminati” (in particolare Carlo Chiti e Lodovico Chizzola, ispiratori dell’Auto Delta, creata come struttura “semi-ufficiale” nel marzo del ’63 e confluita nel ’66 nel nuovo Reparto Corse Alfa Romeo), il Biscione si dedicò alla serie Turismo e ai prototipi (prima con le Giulia TZ e TZ2 con carrozzeria Zagato, poi con la favolosa 33), escludendo un interesse diretto nella F1 senza, per questo, trascurare totalmente la serie.
A partire dal campionato ’61 di F1 la FIA decise un drastico ridimensionamento delle cilindrate per ridurre le prestazioni delle vetture. Sfruttando il motore 4 cilindri in linea bialbero della Giulietta, l’Alfa Romeo divenne fornitore di team minori – De Tomaso, la britannica LDS e la Cooper – ma con risultati invero scarsi. Dal 1966, con il ritorno al motore 3 litri, la sua presenza nella categoria cessò nuovamente fino al 1970.
Anni 70
Per non perdere il treno della Formula 1, contraddistinta da un successo sempre crescente, l’Alfa Romeo continuò a recitare il minore – ma sempre importante – ruolo del fornitore alle scuderie. Per la stagione 1970 concluse un accordo con il team Bruce McLaren Motor Racing in forza del quale il team neozelandese avrebbe utilizzato una versione modificatadell’8 cilindri dell’Alfa 33 con 3 litri. L’anno successivo questo propulsore andò invece ad equipaggiare la March 711.
Nel ’76, infine, fu raggiunto un accordo con la Brabham – da poco ceduta a Bernie Ecclestone, che vedeva nei motori Alfa un’ottima scelta per la capacità di fornire potenze molto elevate. Poiché all’epoca la Casa era impegnata ufficialmente nel campionato Mondiale Sport Prototipi con la 33TT12, nella nuova Brabham BT45 fu installato il 12 cilindri tipo 115.12 con 3 litri.
Questo motore, dotato di grande potenza, palesava alcuni limiti strutturali (peso, ingombro, complessità costruttiva) e un consumo molto elevato, al punto che durante la stagione il team inglese non andò oltre la conquista di tre quarti posti in gara e il 9° posto in classifica costruttori. Le cose andarono leggermente meglio l’anno successivo: l’evoluzione della BT45, la BT45B, riuscì a fare molto meglio, seppure minata dalla sfortuna: due secondi posti (Argentina e Francia) e due terzi posti (Germania e Austria) consentirono di concludere il campionato al quinto posto.
Per la stagione di corse ’78 fu schierata prima la BT45C e, successivamente, la nuova BT46. Noti gli ormai “classici” problemi di ingombro del 12 cilindri a V di 180° by Alfa, il progettista Gordon Murray dovette ingegnarsi per cercare di “avvicinarsi” alle fortissime Lotus. La soluzione fu trovata in una ventola posteriore che creava una forte deportanza sulla coda, schiacciandola – letteralmente – al suolo. La BT46 del 1978 è una monoposto molto innovativa: il mix tra Gordon Murray e Carlo Chiti è stato esplosivo.
La macchina, molto competitiva, consentì al Parmalat Racing Team di ottenere ottimi risultati (conquistati da Niki Lauda, John Watson e Nelson Piquet), tra cui le due vittorie del campione austriaco nei GP di Svezia e d’Italia.
1979: Alfa Romeo costruttore e fornitore Le pressioni di Carlo Chiti furono all’origine della decisione del management Alfa di tornare ufficialmente in Formula 1 per il campionato ’79 e recitare un ruolo di primo piano con una vettura completamente nuova.
La 177, a cui il tecnico toscano aveva iniziato a lavorare già due anni prima, nacque in un momento di profonda transizione, con la Lotus decisa a sconvolgere il Circus introducendo nuove e straordinarie novità in tema di aerodinamica, in particolare con l’applicazione sistematica dell’“effetto suolo”. La migliore qualità della monoposto 177 era stata, fino a quel momento, l’architettura del motore: sfruttando lo schema a cilindri contrapposti, era possibile beneficiare di un baricentro molto basso, a tutto vantaggio della stabilità.
Tuttavia con la nascita della Lotus 78, primo esempio di “wing car” e la definitiva “esplosione” della sua evoluzione, la Lotus 79 con minigonne ed effetto suolo, l’Ing. Chiti decise di correre ai ripari con la progettazione di un nuovo propulsore, a V stretta, per sfruttare i nuovi principi introdotti.
Nel frattempo continuava la fornitura di motori al team Parmalat: le Brabham BT46 montavano ancora il V12 piatto tipo 115-12 ma presto la nuova BT48 avrebbe ricevuto il nuovo propulsore italiano a V.
Bruno Giacomelli portò al debutto l’Alfa Romeo 177 al Gran Premio del Belgio, sesta gara del campionato, ma fu costretto al ritiro. Ma già al Gran Premio di Monza apparve la sua erede, la l’Alfa Romeo 179 dotata del nuovo 12 cilindri a V di 60°, il tipo 1260. La gara sul circuito brianzolo fu anche l’ultima della 177, guidata da Vittorio Brambilla.
Alfa Romeo 179: V12 60°, effetto suolo Rispetto al propulsore precedente, strettamente derivato da un motore utilizzato per le gare Prototipo, il Tipo 1260 era il primo motore “puro” per la Formula 1 dai tempi della 158 “Alfetta”. L’architettura prevedeva basamento in alluminio, pistoni in titanio, distribuzione bialbero con 4 valvole, iniezione meccanica Lucas. La potenza massima era di 540 Cv e il peso era di una buona decina di chili inferiore rispetto al 12 cilindri “piatto”.
A dispetto della brevissima carriera agonistica della 177, l’Alfa Romeo 179 ebbe una carriera agonistica molto più lunga (versioni 179B, 179C, 179D, 179F). Dopo l’infelice debutto nella breve stagione ’79, andò leggermente meglio nel 1980 con la rinnovata scuderia Marlboro Alfa Romeo (Giacomelli, quando non costretto al ritiro, ottenne due quinti posti e un tredicesimo posto, oltre alla partenza in pole position in Canada) anche se si dovette registrare la perdita del pilota Patrick Depallier (succeduto a Vittorio Brambilla), tragicamente scomparso durante una sessione privata di test in Germania. Il suo posto fu temporaneamente ripreso da Brambilla e poi definitivamente da un giovanissimo Andrea De Cesaris (appena 21 anni) che proprio con l’Alfa Romeo debuttò in F1 al GP del Canada.
Durante la stagione ’81 (piloti: Bruno Giacomelli e Mario Andretti), caratterizzata dall’abolizione dell’effetto suolo da parte delle vetture, Bruno Giacomelli, tra alterni risultati, ottenne il miglior risultato di sempre con la 179: un terzo posto alla gara conclusiva a Las Vegas mentre il compagno Mario Andretti conquistò solo un quarto posto al gran premio inaugurale degli Stati Uniti a Long Beach.
1983: Alfa Romeo 183T con motore biturbo 890T La stagione fu contrassegnata dalla definitiva consacrazione del motore Turbo. L’Alfa Romeo, che schierò Andrea De Cesaris e Mauro Baldi al posto di Bruno Giacomelli, portò al debutto il nuovo motore 890T, progettato dall’ing. Chiti, sulla nuova 183T. Il propulsore, architettura a 8 cilindri a V con 1,5 litri di cilindrata, fu all’inizio corredato da turbocompressori “nostrani”: si trattava di unità prodotte dalla Alfa Avio, poi sostituiti con altri prodotti dalla KKK.
De Cesaris conquistò un secondo posto in Germania e in Sud Africa, Baldi ottenne un quinto posto in Olanda e un sesto posto al GP del Principato di Monaco. L’Alfa Romeo concluse la stagione al sesto posto, il miglior risultato di sempre nella sua seconda esperienza in F1 come costruttore. Durante l’anno la Casa fornì il vecchio motore 1260 all’Osella Squadra Corse per la sua monoposto FA1E.
1984 – 85: Alfa Romeo 184T e 185T con i colori Benetton Per l’annata 1984 (serbatoi da 220 litri ed eliminazione del rifornimento in gara) l’Alfa Romeo affidò l’intera gestione della Formula 1 all’Euroracing (entrata nel management del team nel 1982), e lasciando all’Autodelta la fornitura dei motori. Persa la sponsorship della Malboro, le Alfa Romeo furono vestite con i colori della Benetton. Il Benetton Team Alfa Romeo schierava le nuove Alfa Romeo 184T, affidate a Eddie Cheever e Riccardo Patrese. Il motore 890T fu riproposto in una versione aggiornata a 680 cavalli ma caratterizzata da un consumo elevatissimo che lasciò molto spesso i piloti a piedi.
Durante l’anno Patrese arrivò terzo a Monza, Eddie Cheever conquistò il quarto posto in Brasile. La stagione fu conclusa all’ottavo posto con 11 punti (contro i 143,5 del vincitore McLaren).
L’anno successivo, con la 185T, l’Alfa Romeo partecipò a otto gare ma la scarsa qualitàdella macchina costrinse a tornare indietro, nel pieno delle ostilità, alla 184T, aggiornata in 184TB. Il Biscione concluse la stagione con 0 punti collezionando quasi esclusivamente ritiri e riuscendo appena a concludere tre gran premi in nona posizione. Molti anni dopo, Patrese definirà la 185T “la peggiore auto che avessi mai guidato!”. A fine stagione l’Alfa Romeo decise il ritiro dalle competizioni e lo stesso Carlo Chiti uscì dall’orbita Alfa per fondare la Motori Moderni.
Nel 1987 la FIA iniziò a diffondere l’intenzione di organizzare un campionato ProCar con auto simili, almeno esteticamente, a vetture di serie ma con tecnologie da F1. Il Gruppo FIAT diede il via libera all’Alfa Romeo per la partecipazione.
Il risultato si concretizzò nella 164 ProCar, con il V10 da 620 Cv montato in posizione centrale su un telaio progettato dalla Brabham e vestito con la carrozzeria di una Alfa 164.
Il 9 settembre ’88 la macchina fu presentata alla stampa durante il GP di Monza ma il previsto campionato ProCar era già stato cancellato a causa dello scarso interesse dimostrato dai costruttori. L’Alfa Romeo decise, allora, di dirottare le esperienze verso il Gruppo C e di ipotizzare l’utilizzo del motore V1035 su un’Alfa per la categoria Prototipi.
Ma al V10 fu preferito il 12 cilindri già usato sulle monoposto Ferrari sulle monoposto di quel periodo. Il concept dell’Alfa Gruppo C portato a compimento e presentato alla stampa nel 1992.
Ciononostante i vertici del Gruppo non diedero il definitivo semaforo verde e anche quest’ultima Alfa da corsa rimase poco più di un sogno.
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