17 gennaio 2016

ALFA ROMEO 158/159 ALFETTA, ELISIR DI LUNGA VITA

Con queste vetture, Alfa Romeo è stata la prima casa iridata in Formula1. Le ricordiamo mentre sembra che la volontà di Marchionne sia proprio quella di riportare il Biscione in pista








La loro sagoma inconfondibile, nel vissuto di molti appassionati d’auto, rappresenta ancora oggi l’essenza stessa della velocità. Basse, affusolate, lunghe e strette, le Alfa Romeo 158 e 159 non solo sono state vincenti nelle massime categorie delle corse automobilistiche per un periodo straordinariamente lungo, ma hanno lasciato un segno indelebile nella storia dello sport automobilistico ai massimi livelli, tanto da essere considerate le progenitrici di tutte le monoposto moderne.

Ed ora è il momento giusto per ricordare: Marchionne parla di un ritorno di Alfa Romeo alle corse, non si sa quale categoria abbia in mente, probabilmente non la Formula 1 dove già con Ferrari si deve mettere in piedi un bell’impegno, tecnico e di risorse. Ma ora torniamo indietro nel tempo, fino a quando Alfa Romeo si preparava a scendere di nuovo in pista con delle auto velocissime ed efficaci. Vi raccontiamo questa storia nelle pagine che seguono...



Il progetto 158 nacque a seguito dell’introduzione di nuovi regolamenti internazionali per le vetture monoposto da competizione, che dal 1938 stabilirono la limitazione a 1,5 litri di cilindrata per le vetture compresse
portando a 4,5 litri il limite per quelle ad alimentazione atmosferica. In questa suddivisione si intravede già lo scopo di offrire un’alternativa più agile e performante alle grosse Grand Prix del periodo prebellico, che erano arrivate a complessità meccaniche e prestazioni assolute spesso difficili da gestire anche da parte dei piloti più esperti.

L’Alfa Romeo raccoglie la sfida affidando il progetto 158 alla Scuderia Ferrari di Modena, che sotto la supervisione di Enzo Ferrari agiva allora quale reparto corse della Casa milanese. E’ qui che materialmente nasce la vettura per opera di Orazio Satta Puliga, a capo di un gruppo di tecnici distaccati appositamente da Milano tra cui Gioachino Colombo quale responsabile del motore. Nel suo nome, la cilindrata divisa per cento e il numero di cilindri, secondo una lo gica ripresa e consolidata in seguito dalla Ferrari stessa sia per le sue vetture da competizione sia per le granturismo. Il motore è un otto cilindri in linea da 1.479 cc, biblocco, con basamento in lega leggera elektron e testa in lega leggera con canne cilindri avvitate.



Il frazionamento così elevato permette di ottenere rapidità nel salire di giri e affidabile anche dopo competizioni di particolare impegno. Alcune soluzioni danno evidenza della sofisticazione tecnica già presente all’epoca nella progettazione Alfa Romeo: la distribuzione, a due valvole per cilindro, è comandata da un doppio albero a camme in testa e l’alimentazione è affidata a un carburatore a triplo corpo, tramite un compressore a lobi di costruzione Alfa Romeo. Elevatissima la potenza, per il periodo: dai 195 Cv del 1938 si passa ai 225 del 1939, e con l’evoluzione 159 a doppio compressore si sfiorano i 450. La frizione, a dischi multipli in acciaio e alluminio, collega il motore con un cambio a quattro marce, con leva collocata lateralmente rispetto al pilota. Il gruppo è disposto posteriormente secondo uno schema transaxle che permette di ottenere una distribuzione ottimale dei pesi e una maneggevolezza di altissimo livello. Per il telaio, si adotta un traliccio di longheroni a sezione ovale e traverse scatolate, saldati insieme per ancorare un asse anteriore con sospensioni indipendenti a parallelogrammi longitudinali e balestra trasversale che si ritrova anche dietro e che viene poi sostituita nella 159 da un ponte De Dion. I freni sono a tamburo con comando idraulico, davanti e dietro.



L’avviamento dell’8 cilindri dell’Alfetta (foto nella gallery) richiede una serie di operazioni ben precise. Dopo aver fatto girare il motore, senza candele, con l’avviatore, si verifica il funzionamento delle pompe dell’olio (mandata e recupero) tramite il manometro e il livello nel serbatoio dell’olio motore. Dopodiché si montano candele calde (originariamente Lodge 2HLN, ora NGK B7ES) per permettere l’accensione della miscela aria-benzina, una “cicchettata” dopo aver portato a livello le vaschette con carburante miscelato nelle stesse percentuali dell’epoca nel poderoso carburatore tricorpo. Poi si porta il motore in temperatura (70° / 80°) quindi si montano candele di gradazione più fredda scegliendo quella che più si addice al percorso e al pilota.



Si portano in temperatura le candele montate e il motore è pronto. Abbiamo chiesto a Maurizio Monti, capo dei collaudatori del Museo di Arese, di raccontarci la guida della 159. Ecco le sue impressioni: “La leva del cambio è a sinistra, in basso, i pedali sono molto vicini al corpo e verticali. L’acceleratore è al centro, una posizione molto comoda per il punta-tacco, manovra obbligatoria in assenza di sincronizzatori. La prima serve solo per l’avvio, si mette subito la seconda, accelerando con decisione. A quel punto la spinta è tale che sembra di volare, le gomme posteriori pattinano con veemenza. Sterzo e sospensioni sembrano di un’auto moderna, sia come molleggio sia per la tenuta nei cambi di direzione. Quando si prende confidenza, è sincera e risponde bene ai comandi; al limite ti avvisa per tempo. La differenza principale rispetto a quanto siamo abituati oggi viene dai freni: bisogna ricordarsi di ruotare l’interruttore mentale prima partire perché l’efficacia è ben diversa. Fatto questo, con comandi dolci ma decisi, si viaggia vicini ai 200 all’ora senza alcun timore.



E’ però il motore, con i suoi ingombri, a condizionare tutta la vettura, che vista lateralmente esprime ancora oggi una bellezza e una razionalità uniche. Il lungo cofano motore con le alettature per il raffreddamento, il posto di guida a sbalzo delle ruote posteriori e la coda, sfuggente e rastremata secondo le teorie aerodinamiche dell’epoca e conformata per accogliere il cambio e uno dei due serbatoi, sono un eccellente esempio di disegno industriale. Il progetto, impostato per garantire efficacia e prestazioni in gara, ottiene così un eccellente risultato anche a livello estetico.



In questa configurazione, la 158 corre però per soli due anni: le vicende belliche del 1939 costringono alla sospensione di qualsiasi attività sportiva. La parentesi bellica congela qualsiasi studio o evoluzione della vettura, per l’Alfa Romeo come per la concorrenza. In maniera fortunosa e rocambolesca, tecnici e maestranze riescono a salvare parte dei progetti e delle vetture su cui stanno lavorando, nascondendoli in località il più possibile protette. Nel 1945, alla fine della guerra, non tutto è perduto ed è quindi possibile riprendere l’attività al punto in cui era stata sospesa cinque anni prima.



Nel 1946 la 158 torna quindi sui campi di gara, con un’importante miglioria meccanica costituita dal compressore a due stadi in serie. La potenza cresce a 275 CV, che diventeranno 350 nella massima evoluzione del 1950. Alla fine di quell’anno, le profonde modifiche introdotte suggeriscono la modifica della denominazione: la 158 diventa 159 non perché … venga aggiunto un cilindro, ma in quanto le prestazioni sono diventate talmente elevate da autorizzare a pensare a una vettura significativamente diversa dalla progenitrice. La potenza schizza a 425 CV, con punte di 450 in alcune condizioni specifiche. Per tenerla a bada, si irrobustisce la trasmissione, sono migliorati i freni ed è riprogettata completamente la sospensione posteriore, con un ponte De Dion in luogo della balestra trasversale. La capacità complessiva dei serbatoi sale a 225 litri rispetto agli originari 170, e piccole modifiche sono apportate anche alla linea, con un vistoso rigonfiamento sul fianco sinistro in corrispondenza del carburatore. La 159 debutta alla fine della stagione 1950 e corre soltanto nel 1951. Un solo anno, ma sufficiente per vincere il secondo campionato mondiale piloti consecutivo.



Il debutto della 158, in versione da 195 CV, avviene alla Coppa Ciano di Livorno, il 7 agosto 1938. Tre vetture in gara, primi due posti conquistati con Emilio Villoresi e Clemente Biondetti. La corsa successiva, il Gran Premio di Pescara, non va altrettanto bene, e le contemporanee Maserati hanno la meglio sulle giovani “Alfetta”. Risultato ribaltato infine a Monza, dove le 158 conquistano ancora i primi due posti a danno delle acerrime rivali. La stagione successiva, il 1939, comincia male per le vetture italiane, che al Gran Premio inaugurale di Tripoli vengono strapazzate dalle “meteore” Mercedes W165 con motore V8 di 1,5 litri, che conquistano i primi due posti in quella che rimane l’unica corsa da loro disputata. Per rifarsi, le 158 partecipano alla successiva Coppa Ciano a Livorno, dove conquistano primo e terzo posto.



Alla Coppa Acerbo a Pescara arrivano addirittura ai primi quattro posti, mentre notevole è il primo posto di classe, e sesto assoluto, conquistato al Gran Premio di Berna contro le ben più potenti Mercedes da tre litri. Una sola gara, per evidenti motivi, nel 1940: il Gran Premio di Tripoli, ovviamente non disputato dalla Mercedes, nel quale le Alfette arrivano ai primi tre posti e al quinto. La fine della guerra riporta gradualmente la normalità in Europa, e con essa il desiderio di ricominciare una vita fatta di lavoro ma anche di progresso e di fiducia nel futuro. Le competizioni automobilistiche riprendono usando per forza di cose i materiali esistenti prima degli eventi bellici.



Per l’Alfa Romeo comincia una parabola ascendente che, per tanti anni, avrebbe portato la Casa milanese ai vertici delle competizioni automobilistiche in tutte le categorie esistenti, con vetture imbattibili e indimenticabili. Per le 158, leggendo le classifiche di quegli anni, si rischia di confondersi tanto sono simili nel proporle ai primi posti. Nel 1946 riprende un’attività agonistica definibile di nuovo regolare, che per l’Alfa Romeo inizia al Gran Premio delle Nazioni di Ginevra dove su quattro 158 partite, tre arrivano ai primi tre posti e una si ritira. Il successivo Gran Premio di Torino al Valentino vede partire cinque 158 e alla fine una doppietta del Portello. Trionfo, infine, sul circuito di casa al Gran Premio di Milano, dove quattro 158 si piazzano ai primi quattro posti.



Nel ‘50 solo vittorie Per il 1947 i programmi sportivi Alfa prevedono la partecipazione a sole quattro competizioni: Gran Premio di Svizzera, del Belgio, d’Italia e Circuito di Bari. Al primo le cinque 158 arrivano ai primi tre posti e al quinto, in Belgio ancora ai primi tre posti, a Bari ai primi due e alla Fiera di Milano ai primi quattro. Il 1948 è segnato dalla morte di Achille Varzi nelle prove del GP del Bremgarten, dove le 158 superstiti arrivano ai primi due posti e al quarto. Nel successivo Gran Premio di Francia a Reims conquistano tutto il podio, con la prima vettura avversaria, arrivata quarta, distanziata di due giri. “Solo” il primo posto al Gran Premio di Torino, il primo disputato contro le Ferrari, divenute nel frattempo avversarie da “sorelle” che erano prima. Trionfo invece a Monza, con i primi quattro posti occupati dalle 158. Il 1949 vede una partecipazione ridotta delle Alfette alle gare internazionali. Sarebbero tornate l’anno successivo, in concomitanza con l’organizzazione del primo Campionato del Mondo di Formula Uno, per quello che sarebbe stato l’ultimo anno di gara delle 158, giunte a un livello di sviluppo ormai difficilmente migliorabile.Nel 1950 viene istituito il primo Campionato del Mondo, allora destinato ai soli piloti. L’Alfa Romeo iscrive le Alfette, arrivate a 350 CV e pilotate, tra gli altri, da Juan Manuel Fangio. Sette le gare valevoli per il trofeo, sei su circuiti europei e una a Indianapolis. Superfluo specificare quale vettura vince le gare europee, l’interesse è nel conoscere il nome del primo Campione del Mondo, che diventa Giuseppe “Nino” Farina con la 158. Tra gare di campionato e altre competizioni, le 158 disputano undici gare, vincendole tutte. Alla fine del 1950 debutta la 159. Si ripete la storia dell’anno precedente, ma questa volta, oltre alla vettura, cambia anche il campione, che è l’argentino Juan Manuel Fangio. In seguito vengono introdotte nuove modifiche ai regolamenti, e l’Alfa abbandona la massima formula per tornare poi quasi trent’anni dopo. Ma ormai la parabola ha assunto un’altra inclinazione.



L’aspetto più affascinante della storia delle 158 / 159 non è solo la loro longevità agonistica, comunque fino a oggi mai raggiunta da alcuna altra auto. La parentesi bellica, l’evoluzione tecnologica non certo vorticosa come quella attuale, un mondo sviluppato decisamente meno esteso di oggi, sono tutti fattori in grado di giustificare perlomeno in parte una storia così straordinaria. Oggi noi siamo abituati a vivere la competizione come successione di eventi per ognuno dei quali esiste una soluzione già pronta.



La strategia al muretto dell’attuale Formula 1 è in ultima analisi proprio questo: l’elaborazione spinta e dettagliata allo spasimo di scenari che assicurino il miglior risultato possibile in funzione di quello che sta accadendo in pista. Sessanta anni fa non era così. Forse piloti e tecnici erano più simili all’Ulisse di Dante, che nonostante una vita quantomai varia e avventurosa non esita, per un inesausto desiderio di nuove esperienze, a raccogliere i vecchi compagni per il “folle volo” oltre le colonne d’Ercole. Allo stesso modo, gli ingegneri, i tecnici e i piloti di allora, studiavano sempre nuove soluzioni secondo le loro esperienze, competenze e mezzi a disposizione. Poi le applicavano in corsa, e poteva andare bene, come poteva anche non funzionare. Sulle Alfetta ha funzionato per 14 anni. E non si può spiegare con la sola fortuna.





















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