02 settembre 2015

I segreti della tecnica della mitica P2

Il primo malevolo commento di giornalisti e tecnici dell’epoca nei confronti del motore da corsa della nuova Alfa Romeo P2 fu: “Ah, guarda che bel Fiat-Alfa Romeo!” Quando però fu esaminato più attentamente, anche gli stessi uomini della Fiat dovettero ammettere che era ben diverso dal loro.

Jano in verità conosceva perfettamente il progetto della Fiat 805-405 sin dal suo inizio, sapendo bene quali ne erano i pregi e quali i difetti, anche se le sue osservazioni non
avevano mai trovato molto credito in Fiat a causa del ruolo subordinato che ricopriva (a Torino dipendeva da Ing. Fornaca e quindi Ing. Zerbi).
Non si poteva pertanto negare che il progetto P2 fosse di chiara scuola torinese ma l’otto cilindri in linea commissionato da Romeo fu opera totale ed esclusiva di Jano, coadiuvato dal motorista Luigi Bazzi e dal tecnico Carlo Molino che in futuro passò alla Bianchi. Per la sua P2 Jano abbandonò immediatamente il sistema quadriblocco ben sapendo a quali sollecitazioni e deformazioni fosse sottoposta l’intera meccanica e optò per due soli blocchi di quattro cilindri ciascuno ottenendo un’ottima indeformabilità, anche in presenza di forti vibrazioni e variazioni termiche. Il comando degli alberi a cammes venne modificato rispetto al sistema Fiat che impiegava ingranaggi conici. Quelli dell’Alfa furono sostituiti con ingranaggi cilindrici che, oltre a facilitarne la regolazione, si rivelavano molto più affidabili non solo per le maggiori tolleranze consentite, ma anche per le maggiori dimensioni con cui potevano essere realizzati ( per garantirne miglior robustezza ) e per la maggior semplicità di lavorazione.
Fu necessario anche risolvere la cronica rottura delle molle delle valvole causata dalla rapida cristallizzazione degli acciai dell’epoca agli “alti“ (si fa per dire !) regimi di rotazione cui il motore 405 era sottoposto. Infatti delle tre molle concentriche, di cui ogni valvola era dotata, nel corso di una gara se ne salvavano poche e le vetture, pur vittoriose per la loro velocità e potenza, terminavano sempre piuttosto zoppicanti. Jano, pur mantenendo tre molle per ogni valvola, le realizzò più alte e più grosse con l’ adozione di un filo di sezione maggiore ottenendone così la stessa flessibilità, ma con un carico notevolmente ridotto contribuendo a far girare il motore della P2 a 6500 giri contro i 5500 della Fiat.
Ebbe anche l’idea di far ruotare il compressore volumetrico ad una velocità superiore di quella dell’albero motore semplicemente interponendo specifici ingranaggi fra i due organi e ottenendo così la possibilità di variarla a piacimento (da 1,25 a 1, 35 : 1 di giri rispetto al motore). Inoltre con l’accorgimento, ripreso poi nel 1928 con la 6C 1500 Mille Miglia Speciale e successivamente con la 6C 1750 Super Sport, di ridurre le dimensioni del compressore stesso, aveva anche ridotto le perdite di aria e quindi di pressione, problema questo che invece caratterizzava i compressori di grandi dimensioni. La nuova geniale soluzione consentì pressioni più elevate a causa del maggior volume di aria sospinta dalla parimenti più elevata rotazione dei lobi con un minore riscaldamento dell’aria stessa che, passando attraverso un polmone intermedio e quindi raffreddandosi di circa 7°-8° gradi, limitò anche i continui fenomeni di autoaccensione causati dalle benzine dell’epoca che non andavano oltre i 70 N.O.
La rimanente meccanica generale ed il telaio non presentavano particolari innovazioni tranne una migliore ottimizzazione complessiva e la semplificazione di tutto l’insieme, imperativo questo che fu nel futuro sempre una costante progettuale per Jano. Un aspetto comunque assai innovativo ed interessante della P2, frutto di Jano, era costituito dalle balestre semiellittiche anteriori che passavano attraverso l’assale, anziché poggiarvi come era consuetudine; il sistema, complicato e costoso, realizzato peraltro anche su tutta la successiva serie 6C, permetteva di abbassare l’avantreno, senza che l’altezza minima da terra ne risentisse, e dare alla vettura assetto e stabilità certamente migliori.
Per la stagione del 1925, quella che dette all’Alfa Romeo il primo Campionato del Mondo, Jano apportò una serie di piccole modifiche e migliorie al motore che ne aumentarono la potenza di 15 CV senza comunque innalzare né il regime di rotazione, che Jano sosteneva avrebbe potuto arrivare fino oltre gli 8000 giri, né il rapporto di compressione a tutto vantaggio dell’affidabilità. Pare, tuttavia, che già a ottobre dell’anno prima, a Monza, la potenza delle P2 raggiungesse i 155 CV. Della P2 vennero costruiti sei esemplari.
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